La psicologia Archetipica




Il ritorno alle origini




Non è un metodo, non è un tipo di terapia, non è un tipo di filosofia, non è una specie di scienza; non è un filone letterario, non è una forma d’ arte, non è una forma d' analisi, non è un movimento culturale; non è un approccio tematico, non è una visione storica, non è una disciplina dell’archeologia; non è parte della mitologia, e non è neanche un movimento sociale. L’insieme di un pò di tutte queste cose, interessa la psicologia archetipica. La psicologia archetipica, si interessa all’inconscio, ai sogni, alle visioni, all’anormale. Jung stesso, passava il suo tempo ad ascoltare, analizzare, e significare, i proloqui di pazienti psicotici, gli incurabili, trovando, nei loro linguaggi, una simbologia e un senso metaforico, riconducibile al corpus mitologico. Cosi, tutto era comprensibile, e sottoforma di metafore, acquisiva un significato con ombreggiature e luci differenti, con sfumature nuove ed attraenti, contraposte alla palpabile inconsistenza, concessa a tali manifestazioni dalla preesistente letteratura psichiatrica. Jung, si occupò nella sua tesi di laurea, dei cosiddetti fenomeni occulti. Successivamente di alchimia, simbolismo, shamanismo, e anche religione. Cosi, la psicologia archetipica, è attratta dalla creatività pura, dalle arti, dagli artisti e dalle loro simbolizzazioni.


La psicologia del profondo, è attratta dalla storia e dalle storie, dalle leggende, dalle fiabe, dai racconti, dalla letteratura, dalla mitologia e dai miti, dalla antropologia, e dalla cultura espressiva e identitaria dei popoli, anche di quelli più piccoli e lontani. Questo, è un motivo che ci fa intendere cosa sia un essere umano, non solo la persona che abbiamo d’avanti, non solo quello che vediamo, o crediamo di vedere, ma anche, e prima di tutto, la rappresentazione di una concezione culturale, e, inoltre, la rappresentazione ultima, dell’evoluzione filogenetica della sua famiglia, il rappresentante ultimo di tutti i suoi avi. Già Freud, parlava di ciò, ma lo fece anche il primo movimento culturale nell’era del lume, quando, si cercava di capire e spiegare l’uomo. Come non ricordare quesiti epocali quale: i bambini arrivano al mondo con un bagaglio culturale? Ricordiamo il concetto di tabula rasa di John Locke, ai primordi degli studi di psicologia applicati all’educazione, secondo cui, i bambini alla nascita, non possedevano nessuna conoscenza.


Vico inceve, argomentava, come il genere umano, si fosse evoluto attraverso successivi stadi di coscienza, idea oggi, talmente acquisita, che ce ne sfugge tutta la portata rivoluzionaria, asseriva il professor Hillman. Inoltre, sempre Vico, fa uso dei termini animus e anima, e ancora, come poi evidenzio' Jung, postula l'origine autoctona dei miti che nascono in modo indipendente tra popoli sconosciuti, afferma che elementi basilari come quelli espressi nel senso comune, nelle massime, nella saggezza popolare, sono parte di un linguaggio di "universali mentali, o universali fantastici" degli aspetti tipici della mente umana, un linguaggio mentale comune a tutte le nazioni".


Noi studiamo con particolare enfasi, i concetti di Identità, l’espressività unica di ogni soggetto, e il campo figurativo e interpretativo dell’interazione tra individui, che è sempre differente. La giustizia, è l’unica costante universale terrena, che pone dei vincoli all’espressività interattiva dei uomini, ma, in modo generale ed equidistante. Le restanti limitazioni, sono evidentemente interferenze interne al processo interazionale. All’interno dello studio sulla diversificazione culturale in tutto il mondo, la psicologia del profondo, è interessata alla simbologia e alla mitologia di tutte le differenti culture, con le loro arti figurative, e immagini caratteristiche. L’interpretazione di queste costanti, in parte solamente umane e conscie, permette di costruire un corpus di base, utile per analizzare e spiegare le modalità individuali generali. Infatti, se si può decidere di adottare un punto di riferimento per spiegare una cultura, o un processo identitario individuale, non sarà di certo partendo dalla generalità, che si potranno spiegare le eccezioni di qual si voglia tipo. Ma inversamente, è studiando le eccezioni e le particolarità, che si riuscirà poi a lavorare espandendo il significato a ciò che definiamo normalità.

La psicologia archetipica, parla il linguaggio dell’anima, e parla dell’anima, un linguaggio, che nei secoli passati stava quasi andando perduto. L’anima, il cuore, e tutta l’espressività dell’essere, grazie alla quale, noi vediamo manifestarsi, cio' che altrimenti resterebbe invisibile, tanto per le persone, cosi come per la natura che ci circonda, e per il mondo intero. Porre al centro del nostro discorso sull’anima il nostro essere, è una prerogativa fondante e caratterizzante del nostro operato. “Chiamate, vi prego, il mondo, ‘la valle del fare anima’, allora scoprirete a cosa serve il mondo” ammoniva la poetica di John Keats.





Le Immagini e il mondo immaginale



Immagine e temporalità





Cos’è un' immagine? Cos’è l’immaginazione? Per quale motivo le immagini sono cosi importanti? Vi siete accorti che siamo circondati di immagini? Se in questo istante vi guardate attorno, non riuscirete a contarle, perché, vi accorgerete di essere letteralmente in mezzo ad immagini di ogni genere. Volete qualche esempio? Avete quadri alla parete? Fotografie, oggetti di uso quotidiano, gli animali, le persone e i nostri sogni perfino! Ogni cosa attorno a voi è un' immagine! Voi compresi! In effetti, noi viviamo in un mondo che possiamo definire un “mondo immaginale”, è la nostra peculiarità specifica!


Comunemente, diamo questo significato al termine Immagine:


Forma esteriore degli oggetti corporei, in quanto viene percepita attraverso il senso della vista, rappresentazione con mezzi tecnici o artistici, della forma esteriore di cosa reale o fittizia”. I suoi sinonimi sono: figura, forma, aspetto, apparenza, parvenza, sembianza, figurazione, rappresentazione, effigie, copia, fotografia, disegno, ritratto, icona, idea, visione, incarnazione, personificazione, simbolo, esteriorità, look, impressione, facciata.


Nella preistoria, quando la scrittura non esisteva, le immagini erano il modo di comunicare. L'artista, incideva sulle pareti delle grotte le sue paure, le sue credenze, ma anche la vita quotidiana della sua tribù. Per fare questo, si serviva di figure e di simboli che arrivati sino a noi, sono divenuti documenti e testimonianze preziose. Le prime pitture rupestri (eseguite, cioè, sulla roccia), furono scoperte nel 1879 in una grotta ad Altamira, nel Nord-Ovest della Spagna. Rappresentano animali (soprattutto bisonti, ma anche cervi e cavalli) affiancati da segni geometrici quali triangoli, ovali, rettangoli. Inizialmente, i paleontologi, non credevano che raffigurazioni così vive e realistiche, potessero essere state realizzate da uomini dell'era glaciale, ma, quando vennero scoperte altre pitture rupestri attribuibili allo stesso periodo, accettarono l'idea dell'esistenza di una vera e propria arte preistorica.


Le grotte usate per le pitture, non erano abitate. Erano probabilmente, luoghi sacri, dove si svolgevano cerimonie religiose propiziatorie (forse accompagnate da danze e canti) per conquistare la benevolenza degli dei, affinché, aiutassero l'uomo primitivo a sopravvivere, e, gli rendessero favorevole la caccia. Le figure ritrovate sulle pareti delle grotte, sono per lo più riferite al mondo animale: scene di caccia associate a simboli femminili e maschili, che rappresentano la coppia umana, e fanno pensare alla continuazione della specie, e alla sua sopravvivenza. Per il cacciatore paleolitico, non esisteva probabilmente contrapposizione tra realtà e immagini: dipingendo la realtà, pensava di impadronirsene, e di acquistare così un potere soprannaturale.


Nelle pitture preistoriche, non sono rappresentati i paesaggi. L'uomo, si raffigura in maniera stilizzata, o attraverso l'impronta delle sue mani, spesso alternate a segni. Segni, mani e animali, sono disposti in un ordine preciso: quasi come una forma di scrittura.


Cosi quasi allo stesso modo, noi poniamo enfasi sulla realtà fenomenica, lavorare sulle immagini e con le immagini, è fondamentale. Nel bellissimo testo “le terapie immaginative”, C. Widmann asserisce: “la realtà psichica, è intessuta di immagini, ed entrare nell’immaginario, significa vivere la propria realtà psichica. Le fantasie, le visioni, e le immagini dell’inconscio, possiedono un potenziale curativo." Il mondo immaginale, diviene lo sfondo archetipico, da cui le immagini, affiorano a definire e delineare l’ individualità, attraverso le cariche emotive, la potenza dei simboli, le derivazioni psicopatologiche, delimitano la costellazione che caratterizzerà il percorso esistenziale di ogni essere, ogni giorno, ogni minuto, e ogni secondo.


L’immaginazione attiva, ha come obbiettivo, l’ottenimento e il rispetto di una visione integrale, su questi fondamentali processi immaginali inconsci. In questo contesto,il concetto di tempo,non è più funzionale nè tanto meno reale. Ciò che chiamiamo passato, non esiste, in effetti, nel presente. Cosi come, non esiste cio' che definiamo futuro in questo istante, né, sappiamo, se esisterà qualcosa al di là di questi istanti presenti. Cercare di vivere dunque, in uno spazio temporale lontano dall’istante presente, ci astrae dalla nostra stessa attuale esistenza. La mia realtà, è questo istante, e io sono qui, e ora. Adesso, posso decidere, cosa fare, o cosa essere. Ora, posso fare e posso essere!


Osservando la manifestazione dell’immaginale nei casi eccezionali, possiamo cosi, decifrare un prontuario, che ci permetterà, di lavorare sulla normalità, mai, potrà avvenire l’inverso. Le nostre comunità, le nostre creazioni, l'umanità intera, sono state predisposte, per poter comprendere e attuare queste finalità, ogni essere, è unico e irripetibile, per l’essenza che è in lui incarnata, e che durante la vita dovrà essere espressa. “Ognuno di noi, esiste non come oggetto materiale, ma come immagine. Siamo immagini complesse, date dalla nostra vocazione, da tutti i sogni, le missioni, e le voci del nostro incoscio ancestrale. Le fonti del condizionamento inconscio, sono di origine familiare, esse sono infatti la famiglia e la società, che è la famiglia della famiglia."


La visione di Hillman, ci porta a considerare differentemente noi stessi e la nostra provenienza, a cercare delle vie per riportare in vita, qualcosa che, la nostra cultura pare avere quasi del tutto dimenticato: il culto degli avi.


"Fin dal momento del nostro concepimento, noi riceviamo dal nostro passato arcaico un “progetto di vita”. In questo progetto di vita, si esprimono compiti di compensazione del destino familiare, cioè, compiti di risarcimento nei confronti degli avi. I nostri avi, dunque, sono dentro di noi, sono aspetti della nostra psiche, dialogare con gli avi, è interrogare le profondità psichiche, è “fare anima”. I nostri avi, in quanto rappresentanti dell’invisibile, ci mostrano ciò che è nascosto, segreto, profondo. Gli avi ci parlano del nostro progetto di vita, della nostra missione nel mondo. In quanto immagini psichiche, ci svelano il mito che stiamo mettendo sulla scena della vita vivendo” (J. Hillman).